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Un bel libro, Fiori di serra (Serel International -EEditrice, 2008), della giovane scrittrice comasca Miriam Ballerini.
L’ho letto velocemente, direi in tre/quattro giorni, e in contemporanea con altro, come faccio di solito. Il libro di Miriam ha senz’altro catturato la mia attenzione.
Innanzitutto, l’ambientazione carceraria mi ha sempre affascinato: film (ce ne sono in abbondanza), libri come Lo straniero di Camus o La prova di Béatrice Saubin, poesie (Il sogno del prigioniero di Montale) sono da sempre i miei punti di riferimento, anche quando devo suggerirli ai miei studenti in qualità di insegnante.
Poi mi sono piaciute la serietà dell’argomento, la razionalità dello stile e l’asciuttezza della resa, che trovo eccezionali in una donna e che danno all’autrice quel tratto quasi maschile che personalmente tanto apprezzo.
Ancora, ho trovato abile la conduzione della storia dei personaggi del libro in parallelo con la riflessione che Miriam fa su di sé come scrittrice: che l’autrice sveli i suoi meccanismi e ci dica attraverso quali passaggi ha avuto genesi la sua opera è un regalo che ella fa al lettore, è metterlo a parte di un segreto, condurlo in un percorso metaletterario per mano.
E poi, per finire, ho gradito l’intreccio fitto delle vite dei personaggi. Miriam sa come tenere desta l’attenzione del lettore, regalandogli un po’ dell’una e un po’ dell’altra delle sue creature, senza che si perda il filo conduttore (che passa attraverso Gloria, protagonista del libro), ma senza mai risultare monotona.
Il mondo di Fiori di serra brulica di donne, di figure che si stagliano nitide nella mente del lettore: Gloria, Andrea, Augusta, Graziana, Melania….prigioniere alcune e guardie carcerarie altre; o forse tutte prigioniere, perché, come dice Miriam, le gabbie che ci costringono sono più numerose e invisibili delle sbarre del carcere.
Nell’Anno del Dialogo Interculturale 2008 e appena trascorso il 2007, Anno delle Pari Opportunità, il libro di Miriam Ballerini diffonde un messaggio importante e invita a non dimenticare in nessun frangente e per nessuna persona la dignità che l’essere umano ha. Più specifica è la riflessione sul sistema carcerario e sulla sua efficacia rieducativa: ma piace rimanere sul piano più generale della considerazione dell’Uomo in sé e della sua vita di relazione.
Per un’insegnante di Latino, quale la sottoscritta è, nulla è più caro delle parole di Terenzio Homo sum et nihil humanum a me alienum puto (Sono un uomo e nulla di ciò che riguarda gli uomini mi è estraneo).E non posso descrivere il piacere di aver trovato questa frase riportata nel libro di Miriam.
Professoressa Rita Gaviraghi
Assessore alla Cultura e P.I., Casorate Sempione (Va)